Ascia nera. La brutale intelligenza della mafia nigeriana 2019 by Leonardo Palmisano

Ascia nera. La brutale intelligenza della mafia nigeriana 2019 by Leonardo Palmisano

autore:Leonardo Palmisano [Palmisano, Leonardo]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Il catarinfrangente

Su un muretto inumidito dalla pioggia i suoi protettori hanno inchiodato una targa catarinfrangente. La targa, all’ingresso di un sentiero ripido e scosceso, s’illumina quando i fari delle automobili le piombano addosso dopo la curva.

È il segno della presenza notturna di Bia. La nera Bia.

“Vedono e sanno che ci sono. Quando non ci sono, copro la targa con questo cartone”, dice allungandomi un rettangolo di cartongesso forato, che si aggancia alle teste dei chiodi della targa.

“Lavori anche la notte?”

“Solo la notte”, risponde e guarda il cielo, da cui cade una pioggia leggera e fredda.

In questo posto di confine tra due Europe, quella mediterranea e quella alpina, Bia è un grappolo curvilineo di carne. Se la pioggia si tramutasse in neve, la sua sagoma salterebbe agli occhi. Ma così non è, e sotto questo breve temporale d’autunno, Bia c’è perché c’è quel catarinfrangente.

“Chi viene da te?”

“Sono sempre gli stessi. Questo è un posto poco frequentato.”

Un posto di montagna tra l’Italia e la Francia. Dove pochi sono i giovani e tanti i vecchi che ancora, pericolosamente, guidano. Sono questi ultimi i clienti di Bia.

“Perché non li accogli in paese?”

Alza le spalle.

“Io sto qui, non in paese.”

“Che vuoi dire?”

“Che vivo in città e la sera vengo qui.”

Il paese è un posto dove quelle come Bia non possono vivere. È raro, infatti, che le ragazze nigeriane vivano in piccoli comuni. Più facilmente sono alloggiate nelle medie e grandi città, dove i clan possono mescolarsi meglio agli altri gruppi criminali d’importazione.

“Sarebbe più comodo per te, magari potresti lavorare in casa”, provo a dire, ma lei mi ferma.

I fari lenti di un’automobile hanno illuminato il catarinfrangente. Bia sente che sta arrivando un cliente. Mi fa cenno di nascondermi. Eseguo. L’auto, al contrario, passa oltre. Falso allarme.

“Che palle!”, sbuffa.

“Aspetti qualcuno?”

Annuisce. I suoi clienti sono regolari. Le danno appuntamento fisso. Rari gli occasionali, perché questa provinciale non è molto frequentata. Qui si viene soltanto per salire in cima ai monti o per andar con Bia, magari perdendosi nelle nebbiose stradelle che salgono ai monti.

“Non hai paura di restar sola?”

“Ho freddo. Ho sempre freddo.”

Comprensibile. La sua vita è contesa tra lo sforzo di contenere i clienti e quello di trattenere il calore, per non gelare.

“Non puoi coprirti di più?”, le domando indicando lo striminzito piumino artificiale che indossa su un paio di calze a rete.

“No. Una volta per il freddo sono svenuta. Mi sono trovata per terra. Avevo la testa rotta.”

“Hai chiamato qualcuno?”

“Avevo fatto poco, ancora. Mi sono messa una manciata di neve sulla testa.”

La neve che cicatrizza, che ferma l’emorragia, che le evita le percosse da parte del gruppo.

“Avevi mai visto la neve, prima?”

“Mai, è bella ma non mi piace.”

Non può sopportare il freddo europeo, vestita come fosse in un villaggio turistico estivo. Ma questo abbigliamento è la sua divisa.

“Eccola!”, dice e mi indica un’automobile che ha appena illuminato la targa catarinfrangente.

Stavolta accosta. Velocemente mi allontano. Mi nascondo dietro il tronco bagnato di una conifera. L’auto si ferma. Bia copre la targa e monta accanto al suo cliente.



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